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«Cercare di spiegare che cosa significa “competenza” sembra l’esercizio preferito di quanti si occupano di competenze, che dedicano regolarmente a questo scopo la prima parte del loro lavoro e, se è un’opera in volume, anche più di un capitolo.»4 Con questa affermazione ironica del pedagogista Elio Damiano diciamo subito che non ci dilungheremo in una disquisizione sul significato del termine: gli insegnanti hanno ormai ricevuto un diluvio di informazioni in merito e sanno bene che la consapevolezza e la mobilitazione puntuale di conoscenze e abilità per affrontare un compito reale sono gli elementi caratterizzanti della competenza.

Informazioni, appunto; però poi bisogna andare in classe e lavorare con i ragazzi, darsi da fare per promuoverle, le competenze. Perché lo prevedono le disposizioni di legge, europee e italiane, dalla certificazione al termine dell’obbligo scolastico, ai profili in uscita dalla secondaria di secondo grado declinati per competenze, alla sottolineatura delle competenze di cittadinanza a cui deve mirare l’istruzione. Ma soprattutto perché, in un mondo in cui tutti hanno facilmente accesso all’informazione – addirittura a un eccesso di informazioni – mediante le tecnologie, diventa fondamentale e ineludibile “insegnare” non più e non solo per trasferire saperi, per cui spesso basta un clic, bensì per formare uno “studente competente”, avviato a essere un futuro cittadino riflessivo e responsabile, aperto al nuovo e all’imprevisto, capace di confrontarsi con gli altri, consapevole del proprio sapere, della propria professionalità e delle proprie scelte di vita, errori compresi.

Ma quali caratteristiche ha uno “studente competente”? Secondo noi lo studente competente è consapevole di quello che sa e di quello che dovrà imparare, della sua responsabilità personale nel cammino di apprendimento; un cammino anche faticoso, ma facilitato dal fatto che esiste una “gioia” nell’imparare, soprattutto se si ha uno spazio di autonomia nel fare esperienze formative, nel conquistare e poter usare conoscenze che daranno un senso alle cose che accadono: esperienze, conoscenze e abilità che forniranno supporto nelle scelte della vita.

Si tratta di un atteggiamento di “ricerca curiosa” che dovrà alimentare l’auspicato lifelong learning, l’apprendimento per tutto l’arco della vita.

Se occorre quindi fare in modo che gli studenti siano in grado di utilizzare autonomamente quello che sanno e quello che sanno fare in relazione a una situazione reale, è chiaro che il timore – espresso da alcuni – secondo cui la didattica per competenze trascurerebbe i contenuti è privo di fondamento: quali conoscenze e abilità vi sarebbero a supporto dell’agire competente, se non si “sanno” la storia, l’arte, le scienze, la matematica, la lingua propria e altrui? Se non si hanno adeguate conoscenze tecniche per avviarsi a una qualsivoglia professionalità?

Possiamo dire, paradossalmente, che non esiste una didattica per obiettivi, per concetti… e, ancora più paradossalmente, neanche per competenze: esiste “la didattica” e basta, cioè il progettare e promuovere situazioni in cui i ragazzi siano messi nelle condizioni di costruire il proprio sapere in modo attivo, attraverso contesti di apprendimento fondati sull’esperienza.

La strada per la conquista delle competenze sia disciplinari sia trasversali comporta per ciascuno studente:

• osservarsi mentre studia e lavora, cogliendo l’efficacia del proprio procedere, riconoscendo ostacoli e difficoltà; abituarsi quindi a rispondere con sincerità a domande semplici e fondamentali: che cosa sto facendo, perché, da che cosa dipendono le mie difficoltà? Che cosa ho imparato? Come è cambiato il mio pensiero? La metacognizione, insomma;

Se dunque le competenze sono il risultato di una costruzione originale di ciascuno, influenzata dalle esperienze, da personali stili di apprendere e rapportarsi alla realtà, da emozioni e affetti, insistiamo sulla necessità che le unità di apprendimento, laddove possibile, non siano strettamente disciplinari; dal nostro punto di vista la valenza formativa di un percorso si raggiunge solo valorizzando la trasversalità, sottolineando le attinenze e gli intrecci tra le discipline.

Costruire un percorso disciplinare senza una profonda interazione tra le varie materie contraddice la necessità della visione olistica del sapere, ma soprattutto impedisce di rielaborare, interconnettendole, quelle conoscenze che si possono acquisire e catalogare grazie ai mobile device.

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