Secondo l’esperto di metodi e tecnologie educativi Antonio Calvani, l’ambiente di apprendimento è «un luogo in cui coloro che apprendono possono lavorare aiutandosi reciprocamente, avvalendosi di una varietà di risorse e strumenti informativi, di attività di apprendimento guidato o di problem solving. Gli ambienti possono:
- offrire rappresentazioni multiple della realtà;
- evidenziare le relazioni e fornire così rappresentazioni che si modellano sulla complessità del reale;
- focalizzare sulla produzione e non sulla riproduzione».
Lo snodo decisivo, come ben si evince da questa definizione, è la formazione quale processo che scaturisce non più da un’unica fonte e da uno specifico luogo a ciò deputato, ma dalla confluenza e interazione di apporti diversi, localizzati in sistemi differenti, con linguaggi, stili di pensiero e modalità di comunicazione eterogenei.
La scuola deve rispondere a queste esigenze, trasformando sia gli ambienti fisici che quelli immateriali, grazie anche e soprattutto all’uso di mobile device, divenendo un sistema integrato in grado di “sincronizzare” e di far convergere i prodotti e i risultati di una complessa dinamica di costruzione collaborativa di conoscenze. Conoscenze sempre nuove e molteplici, ottenute grazie a una pluralità crescente di risorse e all’interazione – e condivisione – di esperienze e competenze. L’acquisizione delle informazioni e la loro rielaborazione, processi che permettono agli studenti di raggiungere le competenze prefissate, richiedono una forma di organizzazione che sappia cogliere qualsiasi elemento rilevante, ovunque si generi, e che sia in grado di mettere in comunicazione continua allievi e docenti non tanto in una modalità gerarchica rigida, quanto piuttosto in un rapporto dinamico capace di riprodurre le interazioni tipiche di un laboratorio di ricerca, dove i ruoli non sono cancellati, ma solo modificati.